giovedì 26 novembre 2009

Cosa si intende con il termine innovazione?

Questa è la domanda che mi sono posta dopo aver letto il materiale postato sul sito dell’ultimo Turistarth, convegno tenutosi il 12 novembre a Milano sul turismo, l’arte e le nuove tecnologie.

I progetti sembrano essere sempre gli stessi così come la situazione del patrimonio artistico-culturale e del turismo in italia.

Guide interattive, visite a 360°, realtà virtuale, mp3 scaricabili su siti di musei, social network, ecc. i progetti con il passare degli anni sono sempre gli stessi con al massimo leggerissime modifiche quindi, mi son chiesta ma l’innovazione qual è o dov’è.

Per definizione innovazione non significa servizio con applicazione di tecnologie come spesso si tende a fare ma, è una modificazione che comporta elementi di novità.

Quindi mi permetto di dire che forse in italia in campo artistico-culturale di innovazione in questi ultimi anni non ci sono stati poi dei grandi progressi.

Non sarebbe forse più innovativo pensare a strategie di business per lo sviluppo del turismo e la valorizzazione del nostro patrimonio artistico-culturale? Cioè i progetti ci sono ma perché questi non si sviluppano?

Penso sia opportuno costituire una piattaforma in cui inserire tutti i progetti che si sono svolti fino ad ora in campo artistico-culturale cercando di evitare che i finanziamenti vadano per gli stessi progetti e, sviluppare progetti più generici in modo da non individuare come innovativo il fatto che la tecnologia venga applicata a un sito archeologico campano piuttosto che umbro ecc.

L’innovazione vera e propria invece dovrebbe consistere nel trovare un ottima strategia di business per diffondere nel nostro paese i servizi studiati in questi progetti, attrarre turisti e promuovere la nostra arte e soprattutto creare nuove entrate.

Probabilmente o quasi sicuramente non ho detto nulla di nuovo ma difficile da attuare quando ci sono in ballo grossi finanziamenti , però anche evitare lo sperpero di risorse significa amare l’arte e il nostro territorio anche perché il problema italiano è proprio quello di avere un patrimonio vastissimo ma pochissimi soldi a disposizione di questo.

Concludo quest’articolo con delle notizie che ho letto alcune settimane fa su un quotidiano relative a uno dei musei più visitato sia realmente che virtualmente ovvero il Louvre. Da poco il museo ha sviluppato un nuovo servizio basato su mp3 scaricabili gratuitamente sul sito internet del museo. Gli mp3 sono file contenenti informazioni riguardanti la visita del museo leggibili solo su piattaforme Apple. Dopo qualche giorno da questa notizia ne ho letta un’altra riguardante l’apertura di un negozio Apple all’interno del museo…potrebbe essere la giusta chiave di lettura?

sabato 7 novembre 2009

Visitatori "reali" e visitatori "virtuali".


Per capire meglio il potere di internet e soprattutto del sito web riporto una ricerca effettuata dall’Ufficio Statistiche del Ministero dei Beni Culturali e dall’associazione Civita che pone a confronto visitatori “reali” con quelli “virtuali”.

Il Ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi ha sottolineato più volte nella presentazione del piano di rivalutazione dei musei, la enorme differenza di affluenza tra visitatori “reali” e visitatori “virtuali” nei musei italiani. Nel The Art Newspaper, è stata presentata una lista dei musei più visitati nel 2007 del mondo ed è alquanto sconvolgente vedere come il Paese più ricco in assoluto dal punto di vista del patrimonio artistico non è presente nemmeno nelle prime dieci posizioni. I primi due posti infatti, sono occupati dalla Francia (Museo del Louvre con 8.30 milioni di visitatori e il Centre Pompidou con 5.50), seguita dalla Gran Bretagna (British Museum con 5.40 milioni di visitatori e il Tate Modern con 5.19), il quinto e il sesto posto invece sono occupati dagli USA (Metropolitan Museum of Art di New York con 4.54 milioni di visitatori e il National Gallery of Art di Washington con 4.51); solo al settimo posto troviamo i Musei Vaticani con 4.31 milioni di visitatori ma, considerando che sono appartenenti alla Città del Vaticano, non possiamo neanche considerarli italiani. Quindi, il primo museo italiano appare nella ventunesima posizione con soli 1.61 milioni di visitatori ed è occupato dalla Galleria degli Uffizi di Firenze. Anche volendo considerare nella classifica i siti archeologici la situazione non sarebbe comunque molto diversa considerando che al primo posto della classifica “musei, monumenti e aree archeologiche d’Italia” troviamo il Circuito Archeologico “Colosseo, Palatino e Foro Romano” con soli 4.44 milioni di visitatori.

La situazione cambia di molto se analizziamo i dati relativi ai visitatori “virtuali”.

L’Associazione Civita in collaborazione con l’Unicab, che si occupa appunto di ricerche di marketing, ha preso in esame 110 musei italiani e altrettanti stranieri contando circa 1000 intervistati. I musei più visitati “virtualmente” risultano essere: Louvre (16.1%), Uffizi (13.4%), Musei Vaticani (8.1%), Musei Capitolini (4.4%), Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia (3.6%), Museo del Prado (3.4%), British Museum (2.2%), Cenacolo Vinciano (2.1%) e Galleria Borghese (1.8%).

In questo caso nella top ten ci sono ben sei musei italiani.

Civita rivela anche che, dal 1998 ad oggi, il numero dei musei italiani presenti in internet sono più che triplicati passando dal 15% al 51,9% di cui il 17,25% (8.98% al nord, 4.90% al centro e 3.37% al sud) con un proprio dominio.

Risulta quindi che nei musei italiani vi sono più visitatori “virtuali” che “reali”.

Il visitatore è spinto a visitare un sito web di musei soprattutto per: programmare la visita, motivi di studio, scaricare foto, filmati, acquistare servizi, prodotti e, per semplice curiosità.

Il successo del fenomeno “on-line” non si può dire che ha danneggiato i musei; infatti, se analizziamo i dati riguardanti visitatori e introiti, i primi sono aumentati del circa 25% rispetto al 1996 e i secondi sono più che raddoppiati. Quindi l’affermazione “internet comunica informazioni per il museo e non rappresenta il museo stesso, ma può costituirne la memoria” non può che avere il nostro pieno accoglimento.

La visita ad un museo tradizionale non offre la stessa gamma di possibilità che offre quella virtuale come può essere l’esplorazione di una singola opera da diversi punti di vista e con gradi di dettaglio altrimenti impossibili, permettere il confronto tra opere situate in musei diversi, l’associazione di immagini con informazioni di qualsiasi altro tipo, ecc.

Internet, quindi, dovrebbe esser considerato come un forte contributo all’evoluzione del museo reale perché estende i contenuti, pubblicizza le attività e raggiunge un vasto numero di utenti che possono poi trasformarsi in futuri visitatori senza assolutamente sostituire l’emozione che si prova nella visita reale al museo. Da diversi studi empirici, è emerso che spesso la visita virtuale è propedeutica e/o complementare a quella reale e che i visitatori che utilizzano le nuove tecnologie permangono nelle aree espositive più a lungo rispetto agli altri visitatori, indice che l’apprezzamento e la comprensione dell’oggetto reale sono esaltati dal multimediale.

Tutte le informazioni sopra riportate sono frutto di un elaborazione proveniente da una recente ricerca Civita su web e musei (2008) e da tavole pubblicate dal Ministero per i beni e le attività culturali.

Malgrado l’importanza riconosciuta di internet e del sito web nello specifico, per la cultura sul web, in Italia, si spende ancora poco, in media la spesa per il sito non supera i 2.000 euro l’anno per museo a differenza di quello che investe l’America e l’Europa Settentrionale. Fortunatamente a livello di contenuti l’Italia si colloca in modo abbastanza buono rispetto alle altre aree geografiche del mondo.

Anche dalla ricerca Civita, infatti, è apparso che nei siti web di musei italiani prevale la cura dei contenuti con una attenzione particolare alla presentazione delle opere e dei reperti conservati (descrizione, informazioni storiche, ecc.) ma, una minor cura e una scarsa attenzione è rivolta alle prenotazioni di visite on-line, agli acquisti, ai servizi personalizzati, all’interattività e al multilinguismo.

Secondo l’ICOM, il sito web apporta ai musei dei grandi vantaggi attraverso il miglioramento dello standard qualitativo e la diffusione quantitativa di numerose attività come, ad esempio, gruppi di discussione tra professionisti e tra gli esperti del settore e il pubblico in generale, l’offerta di news sempre aggiornate, un facile accesso ai cataloghi delle collezioni, la possibilità di vedere mostre virtuali, l’offerta di informazioni con diverso livello di approfondimento, la possibilità di far scambiare commenti e informazioni agli utenti che offrono la possibilità di far conoscere il museo ad un pubblico diffuso su tutto il pianeta. Anche da un punto di vista strettamente gestionale, il sito web garantisce ad ogni dipartimento del museo uno spazio da utilizzare secondo le proprie esigenze e al quale rimandare chiunque sia interessato e, inoltre, offre ai direttori dei musei importanti informazioni riguardanti il numero di persone che visitano il sito, le parti che risultano maggiormente interessanti e, quale sia la durata della visita on-line, grazie all’elevato livello di feedback offerto dal sito web. Forse l’unico elemento sfavorevole è quello strettamente economico perché questo sistema non procura ricavi diretti, in quanto l’accesso alle applicazioni web è gratuito; questo “ostacolo” comunque si potrebbe aggirare considerando come ricavi quelli indiretti provenienti dalla vendita di prodotti on-line.

Breve analisi su 14 siti web.

A questo punto ho deciso di analizzare i siti web di 14 musei per scoprire quali sono i servizi che questi offrono ai visitatori “virtuali”. I musei che ho scelto sono stati:

  • Museo del Louvre: perché il più visitato sia realmente che virtualmente;
  • Museo del Prado: perché nella top ten dei siti web di musei più visitati;
  • British Museum: perché tra le prime 10 posizioni tra i musei più visitati sia “realmente” che “virtualmente”;
  • Galleria degli Uffizi: perché al secondo posto come museo più visitato “virtualmente” e primo museo italiano più visitato “realmente”;
  • Scavi Archeologici di Pompei: perché uno tra i siti archeologici più visitati in Italia;
  • Tate Modern: perché al quarto posto come museo più visitato e perché presente nella lista delle nomination dei musei più belli presenti sul web del 2008 nella sezione “Community or service”;
  • Metropolitan Museum of Art di New York: perché al quinto posto come museo più visitato;
  • Museo di Arte Moderna (MoMa): perché ha riscosso molto successo nel social network più diffuso e perché presente nella lista delle nomination dei musei più belli presenti sul web del 2008 nella sezione “On-line Exhibition”;
  • Musei Vaticani: perché l’unico museo che anche se appartenente alla Città del Vaticano è sito in territorio italiano presente nella top ten dei musei più visitati al mondo;
  • Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto (Mart): perché uno tra i musei di arte moderna più importanti italiani e perché molto attivo nel social networking più diffuso;
  • Guggenheim Museum: perché una tra le più grandi “multinazionali” riferite a musei;
  • Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza: per la vasta differenza tra i suoi visitatori “reali” e quelli “virtuali”;
  • Museo Nazionale della Scienza e Tecnologia “Leonardo da Vinci”: per lo stesso motivo visto prima;
  • Science Museum: perché vincitore del premio miglior web museum del 2008.

L’analisi ha considerato le seguenti dimensioni:

  • Contenuti: riferito alle informazioni presenti sul web come mappe, informazioni e immagini sulle opere, ecc;
  • Servizi: cioè l’insieme delle funzioni che il sito web offre, prendendo in considerazione maggiormente il punto di vista dell’utente. Le funzioni non devono solo essere efficaci e adeguate ma devono anche contenere un adeguato livello di sicurezza e garantire la correttezza delle operazioni come ad esempio l’uso corretto dei dati personali inseriti dagli utenti;
  • Identità: analizza tutti gli elementi che determinano l’immagine e comunicano al visitatore l’identità del sito web, del suo proprietario, dell’organizzazione che lo mantiene. Quindi la valutazione è fatta in base al design del sito, coniugata alla funzionalità dei prodotti;
  • Localizzazione: prende in considerazione l’insieme delle caratteristiche che contribuiscono alla visibilità del sito web e valutata, di conseguenza, se l’organizzazione si avvale di un indirizzo intuitivo. Inoltre questa dimensione comprende anche strumenti di interazione e comunicazione con l’utente come l’indirizzo e-mail, il numero di telefono, ecc.;
  • Management: comprende l’aggiornamento delle informazioni presenti nel sito ma anche le caratteristiche che ne garantiscono un funzionamento corretto;
  • Usabilità: comprende l’insieme dei fattori che concorrono a determinare la facilità d’uso del sito da parte degli utenti. Rientra in questa dimensione anche l’accessibilità, intesa come insieme delle buone pratiche che permettono l’accesso al sito anche da parte di disabili.

Da quest’analisi ho potuto notare come l’interattività risulti essere di fondamentale importanza: essa consiste nella possibilità di inserire, ad esempio, le proprie foto, i propri commenti, di crearsi un proprio “museo” all’interno del sito web (come il “myspace” del Louvre o il “myMet” del Metropolitan Museum of Art di New York) o, ad esempio, crearsi un proprio percorso di visita (un esempio ci è fornito dal Tate Modern Museum) o, ancora, permettere ai visitatori più piccoli di giocare on line o, avere un link su Facebook, il social network con più iscritti, con la possibilità di introdurre foto scrivere commenti, ecc.. Un secondo accorgimento sarebbe quello di fornire la possibilità agli utenti di iscriversi alla newsletter del museo per avere informazioni relative a particolari visite, mostre, ecc.. In parecchi musei, soprattutto italiani, manca una suddivisione delle informazioni in base ai diversi segmenti di mercato. Questo servizio costituisce una caratteristica molto importante per attrarre visitatori, per lo meno “virtuali”, che potranno ricevere informazioni più indicate alla propria professione o all’età con linguaggi più semplici o più dettagliati in base alle proprie conoscenze. La sezione legata all’e-learning in Italia sembra non essere ancora presa in considerazione e, infatti, tra i 14 musei analizzati, gli unici a non avere una sezione dedicata a quest’attività sono proprio 5 musei italiani.

La caratteristica che sembra non avere molta rilevanza è il numero delle lingue in cui il sito è tradotto; cioè, la cosa fondamentale è che ci sia la possibilità di visitarlo in inglese. Questo si nota dal fatto che la maggior parte dei musei, almeno quelli analizzati, hanno al massimo la traduzione in altre due lingue in aggiunta a quella madre e addirittura i due musei più importanti statunitensi non prevedono nessun altra versione in lingua diversa dall’inglese (il Moma ad esempio si avvale del traduttore google scusandosi se la traduzione può risultare in alcuni casi poco corretta).

Le nuove tecnologie per le istituzioni culturali


Beni culturali e musei costituiscono ormai una realtà nel settore della società dell’informazione, questo fenomeno è infatti alla base di molti programmi della Commissione Europea.

L’utilizzo delle nuove tecnologie ha cambiato sia i musei che il modo di relazionarsi del pubblico con essi. Nel corso dell’ultimo decennio, soprattutto, i musei sono andati incontro ad una serie di trasformazioni dovute sia a fattori interni, che riguardano le nuove caratteristiche e le competenze loro richieste, sia a fattori esterni, cioè i mutamenti socio – economici che hanno investito il mondo dei Beni Culturali. Sono sorte, infatti, nuove alleanze con il settore privato, con lo scopo di colmare il ritardo dei musei, delle biblioteche e degli archivi italiani nel campo dell’informatizzazione e digitalizzazione[1].

Uno studio riportato dall’EPOCH Research Agenda sottolinea che la maggior parte delle istituzioni di piccole e medie dimensioni, che costituiscono oltre il 90% di tutte le organizzazioni, ha difficoltà nel coprire i costi totali di gestione per le più avanzate applicazioni di Information and Communication Technology che vanno al di là di un semplice sito web o di un sistema di gestione di raccolta dati. I fattori che sembrano accentuare questo problema sono la mancanza di personale specializzato e un budget operativo molto limitato. Per quanto riguarda il primo fattore bisogna considerare che, nella maggior parte dei casi, nelle istituzioni di piccole dimensioni, il personale ammonta a circa 5 persone tutte occupate a tempo pieno in attività core business (si tratta di archivisti, bibliotecari, ecc.); a proposito, invece, del secondo fattore individuato, occorre osservare che le piccole istituzioni hanno un limitato budget operativo (circa 100 mila euro) che permette loro un margine di manovra molto limitato, soprattutto se l’investimento consiste in nuove tecnologie.

La situazione cambia un po’ nelle istituzioni di media dimensione, che hanno invece un budget pari a circa 1 milione di euro, ma pur sempre non sufficiente per questo tipo di investimento. Una soluzione a questi due grandi ostacoli potrebbe essere quella di formare i dipendenti, fornendogli almeno le basi per l’uso delle tecnologie basilari come sistemi di gestione e raccolta, adottare applicazioni che hanno una probabilità di essere adottate da molte istituzioni in modo da ottenere domande robuste e abbordabili. Si dovrebbe quindi prediligere un approccio “bottom-up” che parta con la raccolta di dati e la loro trasformazione; in questo modo si riducono i costi di digitalizzazione, si migliora l’accessibilità e la fruibilità delle risorse digitali. Però, per questo tipo di approccio, diventerebbe necessario e di considerevole importanza la formazione del personale.

Nel grafico seguente si possono osservare come, in base al tipo di istituzione culturale sia essa un museo, un sito archeologico o un monumento storico, cambia l’interesse nei confronti dei diversi settori tecnologici.

Dal grafico risulta che i settori che stimolano maggior interesse sono quello riguardante la rappresentazione e la registrazione dei dati e quello riguardante la business intelligence come databases e Knowledge management. Il considerevole interesse nei confronti di monumenti e siti archeologici è generato dal fatto che le nuove tecnologie digitali danno la possibilità di monitorare le condizioni fisiche di questi come l’umidità, la corrosione, il degrado dei materiali, ecc. I musei mostrano invece più interesse nel campo della business intelligence in quanto più attratti dalla digitalizzazione degli oggetti come la scansione 3D.

Con l’applicazione delle nuove tecnologie il pubblico ha potuto sviluppare un accesso più ‘democratico’ alla cultura in base al proprio background culturale e ai suoi differenti interessi anche attraverso una gestione personale di tempi, spazi e percorsi cognitivi, segno che la rivoluzione tecnologica ha generato anche una rivoluzione culturale legata al valore dell’informazione.

Le caratteristiche che hanno contribuito a rafforzare il legame tra tecnologia, arte e cultura sono fondamentalmente tre: l’importanza della base visiva, l’interattività e la connessione. La prima è ovviamente rilevante in quanto le opere d’arte (dipinti, monumenti, siti archeologici, sculture) sono apprezzabili e comprensibili principalmente per la loro componente visiva ed estetica; la seconda caratteristica è molto importante perché è in questo modo che avviene la comunicazione, l’apprendimento e l’elaborazione delle conoscenza in ambito culturale; infine la possibilità di connettere in tempo reale l’opera d’arte con tutti i suoi legami contestuali, risulta molto utile per comprenderla pienamente attraverso la rapida individuazione del contesto storico e geografico nel quale le opere si sono formate, la possibilità di confrontare con facilità l’opera con altre dello stesso autore e/o dello stesso periodo, di consultare la documentazione relativa e di ricomporre collezioni che nel corso dei secoli sono state smembrate e i cui pezzi si trovano sparsi per il mondo.

In molti musei, però, l’uso delle tecnologie si osserva solo in:

  • Semplici applicazioni multimediali interattive: consistente in Cd Rom e Dvd contenente informazioni in formato video, immagini e suono. Queste applicazioni hanno avuto il loro massimo impiego negli anni ’80 e ’90 e poi sono stati completamente sostituiti dal web che è più dinamico, oltre che un ottimo mezzo capace di diffondere contenuti complessi raggiungendo un target elevato di utenti.
  • Reti museali: in queste reti partecipano siti web dedicati ai musei e alle altre associazioni culturali. In questo modo l’istituzione diventa maggiormente riconoscibile a livello nazionale e europeo, specie se consideriamo le piccole e piccolissime istituzioni che grazie a queste reti riescono ad avere maggiore visibilità. Solitamente le reti si sviluppano tra istituzioni simili oppure in base alle tematiche trattate o in base all’area geografica di appartenenza. Lo sviluppo di una rete consente la standardizzazione delle attività di promozione e di offerta di alcuni servizi; inoltre, l’aggregazione di risorse porta ad un abbattimento dei costi legati a questi elementi. Lo scambio di informazioni consente ai membri delle reti museali di sfruttare le economie di scala per migliorare l’attività promozionale e di conseguenza anche l’immagine del museo.
  • Audio guide: questa tecnologia consente al visitatore di un museo di intraprendere la visita avvalendosi del supporto di una guida audio che fornisce spiegazioni e informazioni su quanto si vedrà. Le audio guide più utilizzate sono quelle che permettono un ascolto individuale e consentono all’utente di programmare alcune caratteristiche quali la lingua e il tempo di visita. Molto diffuse sono anche quelle ascoltabili da gruppi o quelle installabili sui bus durante gli itinerari dei gruppi organizzati.
  • Guide multimediali: inteso come un insieme organizzato di contenuti sulle opere artistiche, sugli itinerari turistici e su argomenti di architettura, restauro, ecc. offerti su un supporto informatico che utilizza contemporaneamente più media quali audio, video e testo. Queste guide possono usare diversi supporti informatici come postazioni multimediali, pannelli interattivi, Cd Rom e Dvd.
  • Sito web.


[1] E. Cigliano, Valorizzazione del patrimonio artistico e culturale attraverso la comunicazione integrata e multicanale: il caso multi museo, 2003

lunedì 28 settembre 2009

Le origini della "realtà virtuale".

Questa volta propongo un articolo di approfondimento ad una pura e semplice curiosità.

Chi è stato il pioniere di quella che definiamo “realtà virtuale”?

Tutti i documenti letti a riguardo mi hanno condotto alla stessa risposta, ovvero al “GruppoT”.

Il Gruppo T è nato a Milano nel 1959 da: Boriani Davide, artista milanese, famoso per aver proposto un linguaggio informale, materico e gestuale con l’utilizzo di tecniche diverse come olio, tempera, acquerello, affresco, ceramica, scultura in ferro, opere polimateriche e film sperimentali; Anceschini Giovanni, considerato il fondatore dei movimenti di arte cinetica e programmata in Italia che, con la sua arte, ha proposto l’interattività con il fruitore attraverso il movimento dell’elettromagnetismo e dell’elettromeccanica; Colombo Gianni, personaggio di spicco nell’esperienza dell’arte programmata e che nel Gruppo T ha dato il suo contributo nella realizzazione di opere dinamiche con mezzi elettrici e magnetici attraverso l’utilizzo di luci industriali come laser e neon e infine Devecchi Gabriele famoso per la progettazione di artefatti cinetici e programmati, ambienti interattivi e artefatti di design.

La produzione artistica del Gruppo fu condotta attraverso la ricerca di nuove modalità espressive e tecniche di coinvolgimento dello spettatore. L’idea era quindi, quella di proporre un nuovo tipo di arte creata da un interazione multisensoriale con l’osservatore attraverso un’esperienza completamente soggettiva e quindi dominata dalla casualità. Boriani Davide, definì i loro lavori “opere in divenire”, ovvero lavori a 4 dimensioni in cui la componente temporale (da qui la lettera T) sia percepibile nella variazione, imprevedibilità e irreversibilità, dell’immagine.

La grande importanza che ha avuto negli anni ’60-’70 il Gruppo T, è stata quella di aver introdotto una forma di arte innovativa attraverso esperimenti percettivi e ambienti interattivi. Le opere erano quindi “aperte” in quanto finalizzate a sollecitare e ricreare reazioni diverse e inaspettate nello spettatore in quanto entra a stretto contatto con l’opera diventandone un fruitore attivo.

Successivamente, verso la metà degli anni sessanta, al concetto di interattività si aggiunge il concetto di abitabilità, espresso attraverso il tentativo di ricreare un nuovo legame e rapporto tra arte ed ambiente. Dal 1964, il gruppo inizia ad ampliare le proprie prospettive, attraverso la realizzazione di ambienti immersivi e interattivi, finalizzati a modificare le aspettative del fruitore, alterandone la percezione con trucchi illusori ed ingannevoli percezioni, per rendere l’opera totalmente imprevedibile e destare una sensazione di straniamento e di spaesamento nel fruitore. Gli ambienti immersivi ed interattivi furono ideati attraverso la riproduzione di uno spazio attivo instabile, mobile e provvisorio, legato alla completa esperienza polisensoriale dell’osservatore.

Il Gruppo T resta attivo fino agli anni ’70 circa.

Nel filmato che segue potrete ammirare alcune opere del Gruppo T.

martedì 22 settembre 2009

Riproduzione della Quadriga Infernale


E’ stato inaugurato da poco, precisamente il 19 settembre un nuovo importante progetto che vede ancora una volta come protagonisti l’arte e la tecnologia.

Si tratta di una riproduzione in grandezza naturale e, nelle reali caratteristiche fisiche della roccia, della tomba etrusca Quadriga Infernale del IV secolo a.C. presso il Museo Archeologico del Senese. Si tratta di un opera di grande importanza artistico/culturale sia per il tipo di pittura, in perfetto stato di conservazione, che rivela una possibile influenza dell’arte greca sia per l’originalità e la vivacità delle rappresentazioni. La necessità di investire in questa perfetta riproduzione è legata non solo alla grande importanza dell’opera ma anche alla sua eccessiva fragilità motivo per cui è possibile visitarla “realmente” solo un giorno a settimana e in piccoli gruppi.

Non sono una storica dell’arte né un archeologa quindi ho postato un video tratto da Stargate che descrive e mostra brevemente il protagonista per eccellenza di questo progetto innovativo.

I materiali usati per questa replica sono polistirolo con intonaco e, la stampa digitale che riproduce le pitture direttamente sull’intonaco con clonazione “chimico-biologica” dell’originale. La riproduzione inoltre è completata da una proiezione in realtà virtuale grazie ad uno schermo "touch screen".

La stratigrafia e la composizione dei dipinti sono state analizzate attraverso la microscopia ottica e elettronica basata su:

FT-IR (Fourier Transform Infrared Spectroscopy) ovvero spettroscopia di assorbimento infrarosso basato sullo studio dell’assorbimento delle radiazioni nella frequenza dell’infrarosso. Si tratta di un potente strumento per l’identificazione dei legami chimici presenti nella molecola. Attraverso quest’analisi è possibile identificare i materiali sconosciuti, la qualità o la consistenza di un campione e la determinazione dell’ammontare dei componenti in una miscela. Si tratta di una tecnica non distruttiva, che fornisce un metodo di misurazione preciso in quanto non richiede una calibrazione esterna inoltre, si tratta di uno strumento veloce, si parla di uno scan al secondo, ha la migliore capacità produttiva ottica e infine, è meccanicamente semplice in quanto ha solo una parte mobile (lo specchio).

SEM-EDS (Energy Dispersive X-Ray Microanalysis) ovvero spettroscopia che sfrutta l’emissione di raggi X generati da un fascio accelerato incidente sul campione. Questo strumento è utile per la definizione delle caratteristiche morfologiche e della composizione dei pigmenti. Permette con un attrezzatura non molto costosa la determinazione simultanea di più elementi in quanto può gestire un range di concentrazione largo, attraverso un’analisi sia quantitativa che qualitativa inoltre, consente una semplice e veloce preparazione di campioni. Attraverso questo tipo di spettroscopia si ottiene un importante valutazione dei pigmenti. In questo caso, sullo strato è stata applicata la pellicola pittorica ottenuta utilizzando i pigmenti minerali a base di bicarbonato di calcio per il colore bianco, ocra rossa per il rosso, ocra rossa e carbonato di calcio per il rosa, ocra gialla per il giallo, carbone e carbonato di calcio per il grigio e, infine, carbone per il nero.

XRD (X-Ray diffraction) ovvero diffrattometria, tecnica più importante per lo studio dei solidi cristallini. Si tratta di un metodo quantitativo e uno strumento non invasivo appropriato per mappare la fase e la microstruttura sulla superficie o sul volume. Permette di definire l’esatta fase di composizione, le strutture e i difetti della costituzione dei materiali.

GC/MS (Gas Chromatography/Mass spectrometry) ovvero gas cromatografia/spettrometria di massa metodo che definisce la presenza di amminoacidi. Nel nostro caso questo metodo ha rivelato come l’uovo è stato l’elemento principale usato come legante organico per disperdere i pigmenti.

mercoledì 26 agosto 2009

Marketing culturale

Oggi vorrei aprire una parentesi su quello che viene definito marketing culturale.

Sono due le definizioni che meglio descrivono il marketing culturale: “ha lo scopo di portare un numero adeguato di persone in una forma appropriata di contatto con l’artista e, in questo modo, ottenere il miglior risultato finanziario compatibile con il raggiungimento di quell’obiettivo[…] L’obiettivo finale è di tipo artistico più che finanziario”[1] e, “il ruolo consiste nel far incontrare le creazioni e le interpretazioni dell’artista con il pubblico adatto”[2].

La differenza principale tra il marketing tradizionale e quello culturale è quella di nel primo caso, creare un prodotto sulla base dei bisogni del consumatore nel secondo, quella invece di individuare i clienti del prodotto già creato.

Quindi, se per alcuni amanti dell’arte i termini marketing e culturale potessero essere considerati un ossimoro vorrei sottolineare il fatto che, lo scopo di questa nuova associazione di termini, non è quella di mettere in mostra togliendo quindi centralità al termine culturale o distogliendo in qualche modo l’attenzione su di esso quanto, piuttosto, quello di comunicare nel migliore dei modi.

Parlare di marketing culturale è diventato una necessità questo perché il mercato in cui si trovano a dover operare i musei è lo stesso del tempo libero; per questo motivo i luoghi d’arte e cultura si ritrovano a dover affrontare la concorrenza sia di altri musei che di avversari di gran lunga peggiori come centri commerciali, parchi giochi, ecc. Si pensi che tra le attrazioni più visitate in Italia dopo il Colosseo ed i Musei Vaticani c’è il parco divertimenti di Gardaland. La competizione è quindi spietata e anche i musei hanno dovuto affilare le armi della comunicazione per raggiungere il loro pubblico.

Armin Klein, docente di marketing culturale presso il Ludwigsburg Polytechnic, ha individuato addirittura dieci ragioni fondamentali che dovrebbero spingere un’istituzione culturale pubblica a fare marketing e questi sono:

  1. crisi finanziaria dei budget pubblici;
  2. cambiamento nel carattere della pubblica amministrazione (nuovi modelli e nuovi approcci maggiormente orientati al cliente e agli aspetti progettuali);
  3. crescita della competenze gestionali degli operatori delle organizzazioni culturali;
  4. aumento dell'offerta e maggiore concorrenza nel settore del tempo libero;
  5. incremento della mobilità e del turismo culturale;
  6. nuove partnership tra l'economia e l'arte (rafforzamento del connubio pubblico privato);
  7. arte e cultura sono diventati degli importanti fattori nella differenziazione degli stili di vita;
  8. evoluzione nel concetto di cultura: "democratizzazione";
  9. orientamento all'evento;
  10. maggiore responsabilizzazione di chi gestisce l'arte e la cultura: orientamento al progetto.

Vediamo in cosa si differenzia il modello di marketing applicato a imprese commerciali e industriali da quello applicato alle istituzioni culturali. Ecco i due modelli a confronto:

La differenza più grande di questi due modelli è quella che nel primo caso il prodotto è offerto sul mercato dopo un’ un’opportuna combinazione degli strumenti di marketing cercando di soddisfare un bisogno già esistente nel mercato di riferimento in base alle risorse e agli obiettivi aziendali; nel secondo caso, invece, lo scopo è quello di creare un mercato interessato al prodotto e quindi di cercare il destinatario più idoneo ovvero il potenziale mercato di riferimento; in questo modo potrà tentare di colpirlo attraverso gli strumenti di marketing mix.

Anche il web in campo culturale costituisce un potente mezzo di comunicazione per la promozione di una realtà museale.

Dall’inchiesta realizzata da Goldman e Wadman sull’esperienza di alcuni musei on line, è emerso come, per i manager di questi musei, il web marketing rappresenta una delle funzioni prioritarie per i musei virtuali. Questo probabilmente è da mettere in relazione con l’identificazione dell’attività promozionale come funzione prioritaria dei musei virtuali.

Rispetto al marketing tradizionale, il web marketing può avere grandi vantaggi, tra i quali il principale è rappresentato dal fatto che è possibile misurare le interazioni dei visitatori in modo più efficace rispetto a quanto avviene nei musei reali o rispetto al direct mailing.

I sistemi d’analisi del web permettono di studiare diverse variabili che consentono il perseguimento di importanti obiettivi:

  • aumentare la media di pagine visualizzate per sessione;
  • aumentare il numero di visitatori;
  • aumentare la conoscenza del prodotto culturale;
  • aumentare la velocità di ritorno (per esempio il numero di visitatori che sono ritornati entro trenta giorni);
  • ridurre il numero di clic per uscire (numero medio di pagine visualizzate per concludere un acquisto o per ottenere le informazioni desiderate);
  • aumentare la velocità di conversione (risultati per visita).

Quello che bisogna fare è semplicemente sfruttare le informazioni contenute nei dati e definire opportune strategie.



[1] K.Diggles, Guide to Arts Marketing: The Principles and Practice of Marketing as they Apply to Arts,1986, p. 243

[2] M.P. Mokwa, W.M. Dawson, E.A.Prieve, Marketing in the Arts, 1980, p. 286

lunedì 17 agosto 2009

Brooklyn Museum: due interessanti servizi per la community


Il video che ho postato è stato creato dal Brooklyn Museum.

Attraverso questo simpatico video, il museo vuole attrarre l’attenzione dei visitatori e renderli parte “attiva”. “Tag! You’re it!” è il nome del progetto, una piccola frase ma di grande impatto in quanto simbolo di partecipazione attiva. In poche parole il servizio offerto sottoforma di gioco invita il visitatore a porre dei tag alle varie opere presenti nel museo. E’ chiaro che il museo vede proprio nei visitatori una giusta potenzialità nel trovare la giusta parola che può risultare significativa per l’individuazione di un opera. Al gioco si accede tramite login, tramite questo il museo acquisisce informazioni sui visitatori ma rende anche l’utente più legato al museo in quanto crea un proprio profilo.

Un altro servizio molto interessante concesso dal Brooklyn Museum è il “PocketMuseum”, che consiste in una audio guida consultabile semplicemente sul proprio telefono cellulare. Basta digitare un semplice numero di telefono e successivamente digitare il numero corrispondente all’opera (es.: (718) 362-9589 5000#).

Inoltre il museo offre la possibilità di noleggiare un iPod contenente tutte le guide o anche scaricare sul proprio iPod la guida del museo su iTunes U o anche ascoltarla semplicemente on line.

domenica 16 agosto 2009

I GIS: un’applicazione multi-funzionale in grado di riflettere una pluralità di esigenze.


Un ruolo sempre più rilevante con compiti molto diversificati nel settore archeologico è svolto dai sistemi informativi geografici meglio noti con la sigla GIS dall’inglese Geographic Information System.

I GIS possiamo definirli come modelli di rappresentazione della conoscenza in quanto raccolgono, gestiscono e manipolano dati che possono essere facilmente interrogati e elaborati dall’utente allo scopo di fornire importanti informazioni. I GIS gestiscono foto aeree, dati geologici e topografici, dati riguardanti flora e fauna, piante di città e di siti archeologici, database su monumenti e reperti archeologici, il tutto georeferenziato in un sistema che permette lo studio e il monitoraggio dalla scala maggiore a quella più piccola. La grande potenzialità di questi sistemi informativi territoriali è quella di poter accogliere dati di diversa provenienza, saperli integrare su un datum comune, consentire potenti modalità di elaborazione ed analisi e generare rapporti numerici e grafici di alta qualità.

La possibilità di creare un linguaggio comune utile per i differenti studi, permette la visione d’insieme di differenti problemi riguardanti un territorio. Il linguaggio comune unito anche alla possibilità di poter osservare ampi spazi o spazi distanti tra loro su un semplice PC risulta essere in campo archeologico molto utile in quanto attraverso comparazioni è possibile individuare similitudini e/o anomalie quindi creare una “rete di segnali” con lo scopo ad esempio di individuare particolare dinamiche sociali; il tutto, senza dover coordinare un numero elevato di persone sui singoli siti o effettuare difficili ricerche in un territorio fortemente urbanizzato con costruzioni alte e inquinamento dell’aria.

Tipicamente i GIS dividono i dati in due importanti partizioni. Dati riguardanti gli oggetti geografici (i quali richiedono particolari strutture di memorizzazione, visualizzazione e trattamento) e dati tradizionali solitamente gestiti da un Data Base Management System relazionale (DBMS). Il sistema integra i due tipi di dati in una interfaccia coerente. Solitamente i GIS costituiscono la piattaforma tecnologica per applicazioni molto diverse tra loro (un catasto piuttosto che una rete di distribuzione del gas metano) e per questa ragione spesso è inglobato in una applicazione software specializzata che cerca di rendere user-friendly le delicate operazioni di data-entry. Queste ultime sono spesso organizzate in forma gerarchica (compilazione di schede predefinite) in modo da guidare l’utente nella creazione della base di dati degli oggetti georeferenziati evitando che errori di inserimento rendano inconsistente l’integrazione tra rappresentazione di oggetti geografici e dati provenienti dal DBMS.

Questo modo di operare rende i GIS facili da usare e questo ha contribuito non poco alla loro diffusione in campo archeologico.

Questa facilità di utilizzo è però, un’arma a doppio taglio in quanto, da un lato ha reso possibile un più facile approccio da parte dell’archeologo, spesso conservatore ed ostile alla tecnologia ma, dall’altra, l’allargamento dei potenziali utenti ha spinto in archeologia verso un proliferare di applicazioni di questa tecnologia tra loro non coordinate.

Per poter utilizzare a pieno tutte le potenzialità di questo sistema occorre conoscere la tecnologia e gli strumenti su cui i GIS si basano. Infatti georeferenziare la distribuzione di tipi ceramici non ha alcun senso se non viene costruita un’architettura complessiva di database dalla quale (interrogando gli archivi della ceramica) si ottiene il risultato sperato. Oppure, spesso i GIS vengono utilizzati come strumento per visualizzare carte tematiche dove non occorre quella precisione, accuratezza e non ridondanza del dato che sono le caratteristiche basilari di questo sistema.

Il corretto utilizzo dei GIS permetterebbe di tradurre l’informazione archeologica - dall’unità stratigrafica al singolo reperto in strato - in oggetto di ricerca e in elemento base per ogni genere di elaborazione, dalla semplice visualizzazione tematica alle più sofisticate procedure di trattamento del dato (analisi spaziali, analisi di distribuzione dei reperti e di predittività).

Con gli strumenti offerti da questa tecnologia è possibile processare e tradurre ogni singolo dato in informazione; il trattamento può avvenire in vari livelli e riguardare sia la produzione di carte tematiche sia l’elaborazione di modelli interpretativi e predittivi tramite l’applicazione di tecniche statistiche di analisi.

Il contributo apportato dai GIS alle ricostruzioni virtuali è notevole questi infatti permettono di creare una relazione circolare tra mappa (virtuale) e territorio (reale), ciò crea nuova conoscenza attraverso una continua trasformazione di informazione codificata e non. Virtuale e reale in questo modo sono perennemente in comunicazione tra loro scambiandosi continuamente contesti.

Inoltre, i GIS consentono funzioni di navigazione, ricerca e tematizzazione semplificando non solo la consultazione degli archivi, disponibili in tempi ristretti ed accessibili con un click, ma consentono anche di creare mappe derivate risultanti dalla interrogazione del database alfanumerico. Infine, “assistono” l’archeologo nella interpretazione del contesto stratigrafico attraverso l’individuazione di pattern distributivi: specifici moduli di analisi spaziale sono in grado di evidenziare la correlazione, statisticamente significativa, di categorie di oggetti concentrate in specifiche aree di rinvenimento.

Nell’ambito dell’“archeologia del paesaggio” i GIS hanno incrementato le ricerche di tipo territoriale, rappresentando uno strumento alternativo e meno costoso rispetto alle tradizionali metodologie d’indagine, questo stesso ragionamento però, non può essere proposto per le ricerche sul campo poiché lo scavo archeologico non è sostituibile con il solo uso dei GIS.

Mobile GIS

Il grande diffondersi della tecnologia mobile ci porta a soffermarci, anche sull’ mobile GIS.

In campo archeologico, lo scavo e la ricerca si svolgono principalmente sul sito piuttosto che in ufficio; per questo i sistemi mobile risultano essere molto utili.

I PDA o palmari garantiscono l’accesso in tempo reale sul campo - attraverso una connettività wireless Bluetooth - ad una mole significativa di informazioni tramite interfacce GIS e database. Basti pensare alle informazioni geografiche - basi cartografiche tecniche e tematiche, coperture aereo cartografiche e satellitari, dati geofisici e i database alfanumerici - normalmente fruibili solo in laboratorio. Inoltre, la possibilità di portare direttamente queste tecnologie sul campo facilita anche la consultazione e l’aggiornamento dei dati in tempo reale. Facendo coincidere la fase di rilievo con quella di validazione dei dati e conversione del cartaceo al numerico, si riducono significativamente i tempi e gli errori tipici di quest’attività. Con il mobile GIS, infatti, si può essere collegati a svariate periferiche tra cui il dispositivo GPS e il telefono cellulare. Il primo permette di visualizzare sullo sfondo le informazioni geografiche con in overlay la posizione dell’operatore in tempo reale senza dover portare con sé supporti cartacei quali schede di unità topografica, stampe degli schedari delle campagne precedenti, documentazione edita, cartografie tecniche, tematiche e storiche, ecc. Il secondo, invece, consente, tramite reti mobile: Global System for Mobile (GSM) o General Packet Radio Service (GPRS), la ricezione dei dati della stazione fissa per la correzione differenziale in tempo reale.

Inoltre vi è anche la possibilità di interazione tra layers georeferenziati e posizione GPS, facilitando la navigazione di qualsiasi condizione, dalla ricerca di siti e anomalie su terreni agricoli e boschi, al monitoraggio delle concentrazioni di reperti in superficie, ecc.

In fase di navigazione e di rilievo si ha l’opportunità di avere un riscontro immediato tra le caratteristiche attuali del sito e le rappresentazioni fotografiche o cartografiche disponibili sullo sfondo. Ci si riferisce, ad esempio, ad eventuali trasformazioni dell’uso del suolo, all’aumento dell’area di spargimento o a movimenti di concentrazioni di reperti fittili in superficie, ecc.

Malgrado tutti gli aspetti positivi analizzati in precedenza, le tecnologie mobile non sono ancora molto diffuse per una serie di motivi. Si è deciso di non occuparsi dei motivi legati ai costi in quanto riguardano allo stesso modo tutti i settori e non esclusivamente quello dell’archeologia ma di analizzare maggiormente i limiti tecnici.

I principali sono sicuramente da ricercare nelle componenti hardware e software. Su questi strumenti è possibile installare software elementari a causa delle limitate dimensioni della memoria di massa di cui sono dotati. Il collegamento a banche dati e alla informazione geografica deve avvenire attraverso una interrogazione remota. Inoltre lo schermo da 3 pollici e mezzo risulta troppo piccolo rispetto alla scala territoriale a cui si lavora (in genere tra 1:50.000 e 1:500.000) e di difficile utilizzo per le continue vibrazioni a cui si è sottoposti.

Un altro problema è legato alla frequenza del processore e della disponibilità di memoria RAM. In relazione ai programmi disponibili è indispensabile sviluppare suite in grado di favorire ulteriormente l’integrazione dei dati, l’immissione sul campo di nuove informazioni geografiche e descrittive. Inoltre, dovrebbero essere migliorate le funzionalità di aggiornamento dei server cartografici.

Infine, un grande svantaggio, visto il grande utilizzo di questa tecnologia per ispezioni aeree, è legato al fatto di essere uno strumento integrato che, quindi, necessita di operare con aerei a ala alta in cui la presenza del tettuccio che ostacola la ricezione del segnale GPS, costringe l’utente ad una posizione protratta in avanti scomoda e innaturale. Quest’ultimo svantaggio può essere risolto con un’antenna esterna, ma ciò comporterebbe la presenza di fili nell’abitacolo che possono intralciare l’archeologo durante le riprese aerofotografiche.

Per tutti gli altri problemi tecnici legati a questa tecnologia, la soluzione sembra essere il Tablet PC equipaggiato con software GIS/DBMS e collegato (via Bluetooth) ad un GPS.

Il sistema cosi concepito mette a disposizione dell’archeologo, direttamente in aereo, un ampio repertorio di cartografie tecniche, tematiche, orto fotografiche e costituisce uno strumento di georeferenziazione e di archiviazione dati.

Un altro aspetto significativo è inoltre la possibilità di scaricare le foto anche durante il volo, cosa che sarebbe utile nel caso di ricognizioni mirate, caratterizzate da particolari esigenze di qualità delle immagini, per valutare quasi in tempi reali i risultati ottenuti. Inoltre il Tablet rispetto al PDA dispone del sistema di riconoscimento della scrittura; infatti è possibile compilare schede e tabelle con una semplice penna, come se fosse una biro. In questo modo i dati inseriti contengono più sfumature e sono meno standardizzati in quanto non ottenuti da una scelta tra dati preesistenti nel sistema anche se, nel momento in cui dovranno essere inseriti in un DBMS dovranno subire comunque una rielaborazione.

L’utilizzo del Tablet PC è anche estremamente facile soprattutto se consideriamo l’ambiente di utilizzo costantemente sottoposto a disturbi.